Secondo uno studio dell’Università della California-Davis, il 56% dei cavalli che soffrono di ‘mal della luna’ corrono il serio rischio di perdere la vista. Il 60% non torna alla condizione visiva precedente all’insorgere del problema.
Il nome medico del mal della luna è uveite ricorrente ed è una condizione che colpisce il 25% della popolazione equina nel mondo. Con predilezione per razze come per esempio gli Appaloosa.
Spesso si manifesta in maniera subdola. L’occhio – ma può accadere bilateralmente – arrossa e lacrima frequentemente. Con una infiammazione che si reitera con frequenza a intermittenza.
Con il progredire della patologia, l’occhio si riveste di una specie di patina trasparente e al contempo lattiginosa. In questa fase, la capacità visiva del cavallo si riduce.
Gli studiosi americani nelle proprie indagini hanno appurato che questa condizione viene trattata principalmente con steroidi applicati localmente o iniettati nell’occhio. Ma questo tipo di terapia presenta l’inconveniente che non può essere impiegata a lungo termine. In primis perché gli steroidi hanno effetti collaterali non trascurabili e poi perché di fatto non è una terapia risolutiva. L’infiammazione torna.
In pratica, il ‘mal della luna’, nome romantico per una patologia che non lo è affatto, non ha una vera cura. Né se ne conoscono alla perfezione le cause…
Le trame del destino parlano anche di scienza
Qualche anno fa, il dottor Larkin – professore associato di microbiologia e scienze cellulari presso l’Università della Florida – ignaro di qualsiasi cosa riguardasse i cavalli e le loro patologie, si trovò per puro caso a visitare una scuderia vicino a casa. Il luogo fu il collante, tramite comini conoscenze, per l’incontro di Larkin con la dottoressa Caryn Plummer, anche lei docente nella stessa università ma nel dipartimento del College of Veterinary Medicine. Con specializzazione in oftalmica dei cavalli.
In quelle magnifiche sinergie che si creano quando due scienziati dalla mente aperta si siedono allo stesso tavolo, la dottoressa Plummer iniziò a esporre a Larkin il tema dell’uveite ricorrente. A sua volta Larkin iniziò a ‘trasporre’ il tutto in termini di cellule, il suo campo di studio elettivo.
L’osservazione da cui partiva la Plummer riguardava il fatto che la ricorrenza degli episodi di infiammazione caratteristici del mal della luna lasciano dietro di loro danni che si stratificano e che alla lunga impattano sulla vista del cavallo.
L’ipotesi avanzata da Larkin fu che la ricorrenza delle infiammazioni avrebbe potuto essere legata al sistema immunitario del cavallo.
«Il sistema immunitario è un abituale efficace ‘spazzino’ di molti agenti patogeni. Qualche volta però, mentre elimina i patogeni può danneggiare i suoi stessi tessuti. È il concetto dell’auto-immunità. Il mio ‘mestiere’ è proprio capire come le cellule comunicano tra loro… Così l’idea che abbiamo avuto è ricercare un sistema per interrompere/modificare ciò che quelle dell’occhio del cavallo si ‘dicono’ quando insorge l’infiammazione dell’uveite per far sì che non arrivino a compromettere la vista». Questa la spiegazione di Larkin e la sfida raccolta dalla scienza.
Lo studio delle citochine
Una delle vie ipotizzate dal dottor Larkin riguarda proprio uno degli ambiti di studio che da sempre segue nei propri laboratori universitari. Ovvero le citochine, proteine che possono essere prodotte da una cellula per facilitare la comunicazione, spesso associate con le infiammazioni e le risposte immunitarie.
Larkin ha indagato diversi tipi di soppressori di citochine che, in situazioni specifiche, potrebbero interrompere il dialogo tra le cellule che porta all’infiammazione e sospendere quell’azione di risposta auto-immunitaria che porta ai danni, in questo caso, degli occhi.
L’inibitore fin ora individuato, ma al momento in fase del tutto sperimentale, si chiamerebbe SOCS, Suppressor Of Cytokine Signaling One. Al momento è stato scoperto che inibisce la patologia del lupus e la patologia della sclerosi multipla nei topi e, grazie alla sinergia con la dottoressa Plummer, è partita anche una sperimentazione per verificarne l’efficacia nelle infiammazioni ricorrenti dell’occhio del cavallo.
«Se dovesse funzionare, potremmo somministrare questo peptide con una semplice goccia. Servirebbe a interrompere o ridurre la ricorrente richiesta immunitaria scatenata dall’infiammazione e preservare l’occhio più a lungo» ha chiarito il dottor Larkin.
Il progresso costa…
La ricerca di Larkin e Plummer è stata finanziata e supportata per un totale di oltre 150mila dollari dalla Grayson-Jockey Club Research Foundation – organizzazione che ha come mission il benessere dei Purosangue e di tutti i cavalli – e allo stato attuale delle cose sta dando risultati più che incoraggianti.
In fase sperimentale condotta in clinica con i cavalli ricoverati nei primi giorni di somministrazione per poter monitorare da vicino possibili effetti collaterali, SOCS è stato somministrato dalla dottoressa Plummer a 15 cavalli con uveite.
Dopo qualche settimana di terapia con una semplice goccia dello specialissimo collirio, i cavalli sono stati sottoposti nuovamente a controlli e con grandissima soddisfazione la dottoressa Plummer ha potuto constatare che l’infiammazione intraoculare era in via di remissione.
A fronte di un soggetto che ha perfino recuperato una percentuale di capacità visiva, l’ottimismo di Larkin e Plummer rimane tuttavia ben piantato con i piedi per terra.
Il numero dei soggetti sottoposti al trial non è infatti sufficiente per una vera sperimentazione che dovrà necessariamente riguardare un numero assai più vasto di cavalli. Ciò non di meno, si tratta di un primo step di grandissimo valore. Tanto per i cavalli quanto per ciò che questa tecnica potrà rappresentare in medicina umana.